Dissidio della pagina stampata

Da una vita qualcuno persegue come un fine quasi sacralizzato l'oggettivazione dei pensieri da cui ha connotato la propria interiorità, tramite delle poesie, dei pezzi musicali, dei racconti. Domina l'idea del romanzo. Il romanzo è un po' come il rock nella cultura moderna, perché raccoglie nel proprio largo grembo tellurico tutti i discorsi che la vita concreta ma anche la vita frenetica della competizione sociale, sezionano e suddividono nella scaffalatura dei saperi. Il romanzo invece non sa. Oppure, quando sa, è molto facile che annoi. Perché il romanzo fa ballare. Un po' come un pezzo degli Strokes, o che so, si canta a voce alta o a temperatura mentale sopra la media, alla maniera di uno dei primi successi degli Oasis. Ma il romanzo che si balla è uno spartito già scritto. La barriera fra il ballo sentito e il ballo provocato è di natura affatto antiromanzesca, se ci pensiamo bene. Poiché si allevia nelle prassi consolidate nei secoli dell'arte editoriale. Che è un'altra arte. E come si fa a innestare due arti così forti senza che una ingurgiti l'altra? Come in un atto di predazione che si consuma nella foresta? Cosa? 

Foresta? Bah, non proprio. Se guardiamo la copertina di un libro ben fatto qualunque della nostra editoria, un Einaudi, o qualcosa del sottobosco... Lo teniamo fra le mani, col polpastrello facciamo scivolare la cascata di pagine di fronte alla faccia. Con quel leggero venticello intriso di officina tipografica. Allora, quando mai ti sogneresti chissà che tensioni, strategie, tafferugli, stratagemmi, forse colpi bassi, potrebbero esserci dietro. Dietro quell'oggetto eccezionale? Le spinte darwiniane di prevaricazione? Macché... 

Certo, non sembra. Però è un'aria che si respira. Quei corsi introduttivi alla pratica editoriale, per esempio. O tutti quei tutorial dove gente che si accredita come operatore, evidentemente molto preoccupata di difendre una poszione... Cosa non concentrano, se non una compressione esorbitante di tutte queste aspettative? Una via per stare dall'altra parte dell'oggetto eccezionale. Dalla parte di Eolo. Che ha in sé i mezzi per fare soffiare il turbine delle pagine rilegate. E ne dispone. Ma è un soffio ultra canalizzato. Forse più calcolo che vento. Un deromanzo. Che potrebbe provocare, volendo, uno scalciaromanzo. Ma nel paesaggio disarmante di un annoiaromanzo. 

Forse un'opera appaga poco, in fondo, se non ci si immerge al punto tale da fomentarne un'altra.

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